Le accuse al sistema italiano di Antonio Iavarone medico alla Columbia University Stampa
«Non parlate più di fuga dei cervelli»
«Le università italiane sono in mano ai baroni, non sono i migliori a occupare le posizioni più importanti. È un sistema che non si basa sul merito, ma sul clientelismo: si fa carriera per conoscenza. La bravura non paga...». Sullo stato della ricerca in Italia e sulla fuga di cervelli, Antonio Iavarone, originario di Benevento, oncologo pediatra di fama internazionale da 10 anni alla Columbia University di New York, costretto ad abbandonare l’Italia per aver denunciato un clamoroso caso di nepotismo al Policlinico Gemelli di Roma, lancia un durissimo atto di accusa in un’intervista al Mattino.
IL MODELLO
l’intervista
DANIELA CIPOLLONI L'Università italiana è sotto schiaffo. Protestano i ricercatori precari, costretti ad emigrare per mancanza di opportunità. Lamentano di essere stati beffati i 500 «cervelli» rientrati con il decreto Moratti e che ora, in scadenza di contratto, saranno costretti a rifare armi e bagagli. Piovono accuse anche dal neo premio Nobel per la medicina Mario Capecchi, per il quale l'Italia non dà spazio ai giovani. «Il sistema universitario italiano è malato e corrotto. Per cambiarlo servono misure radicali, una rottura con il passato». Antonio Iavarone, originario di Benevento, oncologo pediatra di fama internazionale, lavora da 10 anni alla Columbia University di New York. È stato costretto ad abbandonare l'Italia, insieme alla moglie Anna La Sorella, per aver denunciato un clamoroso caso di nepotismo al Policlinico Gemelli di Roma. Professor Iavarone, è allarmato dalla fuga dei cervelli? «Parlare di fuga dei cervelli è un errore. In campo scientifico è giusto che le persone vadano all'estero per formarsi nei migliori laboratori. Non è positivo che un ricercatore resti nello stesso posto, come erroneamente si pensa in Italia. L'immobilismo equivale a perpetrare il sistema inefficiente e corrotto che c'è ora». Ma chi va all'estero, poi non torna. «Il problema italiano è la mancanza di competitività. L'Italia non è un paese capace di attirare gli scienziati di alto livello. Negli Stati Uniti, invece, le università competono per accaparrarsi i migliori scienziati. L'Italia non è considerata un'opzione valida per chi sta all'estero». Quali sono i mali da cui è affetta la nostra università? «Le università italiane sono in mano ai baroni, non sono i migliori ad occupare le posizioni più importanti. È un sistema che non si basa sul merito, ma sul clientelismo: si fa carriera per conoscenza. La bravura non paga. Poi c'è il problema dei finanziamenti. Si investe poco, ma soprattutto si investe male. È sbagliato reclamare più soldi alla ricerca, se si continua a finanziare cattiva ricerca». Nei giorni scorsi il ministro Mussi ha sbloccato 20 milioni di euro per l'assunzione di mille ricercatori, ma restano in vigore i vecchi concorsi. «È un segno della volontà di illudere di cambiare le cose, ma di non farlo realmente. Venti milioni di euro sono una bazzecola e i concorsi sono l'emblema della "malauniversità". Nella maggior parte dei paesi occidentali non si "entra" per concorso. I ricercatori vengono scelti per le loro capacità, per le pubblicazioni che hanno prodotto, per le scoperte che hanno fatto. Il mestiere di scienziato è un mestiere competitivo, dove non ci sono certezze. Il posto fisso è contrario al concetto di eccellenza». Come giudica il programma del rientro dei cervelli promosso dall'ex ministro Moratti? «Si tratta di iniziative propagandistiche, forse utili ad allocare posti, a dare un contentino ai precari. Lo dico chiaramente: è una presa in giro all'italiana. Così si getta solo fumo negli occhi, che serve solo a mantenere esattamente lo status quo, senza cambiare nulla». Che cosa propone? «Il parametro del successo è la capacità di cercare un ambiente internazionale. L'Italia dovrebbe seguire l'esempio della Spagna e di Singapore e creare centri di ricerca internazionale, gestiti da autorità riconosciute dalla comunità scientifica e popolati da scienziati che lavorano al top della ricerca scientifica. Centri di ricerca in cui i ricercatori siano scelti per i loro meriti reali. Non sulla base di concorsi fasulli». Un sogno? «Spero di no, forse qualche cosa si sta muovendo. Nel corso della precedente legislatura, si è discusso della possibilità di realizzare un centro del genere a Benevento. Sarebbe necessario un investimento da 140 milioni di euro per 5 anni. Ma sono scettico sulla volontà politica di cambiare rotta. Ci sono interessi forti a mantenere il sistema com'è, perché se si creasse competitività molte delle strutture che oggi operano chiuderebbero battenti».
tratto da : IL MATTINO
Pubblicazione del: 11-10-2007
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