NAPOLI - CENTRO MOBBING DELL'ASL Stampa
MOBBING E DEPRESSIONE ECCO COME SI GUARISCE
Il centro clinico dell’Asl Napoli 1 leader nel Sud
Il centro clinico di psicopatologia del lavoro e prevenzione mobbing ha compiuto dieci anni di attività, ha in cura 1.238 pazienti e riceve oltre 8.000 contatti
Sulla scrivania non ti arrivano più le convocazioni per le riunioni di lavoro, il telefono resta muto tutta la giornata e all’improvviso scopri che anche la password del tuo computer è cambiata, a tua insaputa. Se poi anche i colleghi cominciano ad evitarti o ti mettono in cattiva luce con il capo, temendo che la tua efficienza possa danneggiare la loro quotidiana pigrizia e sufficienza, allora non ci sono dubbi: sei un lavoratore vittima di mobbing. Sono questi solo alcuni dei mille comportamenti vessatori, in larga misura subdoli, che possono minare la salute mentale di molti dipendenti e rendere insopportabile il tempo trascorso in ufficio. Un fenomeno in crescita e reso ancora più acuto dalla crisi economica globale che precarizza e flessibilizza qualsiasi forma di impiego. Lo spiega bene lo psichiatra Claudio Petrella che dirige l’unità di salute mentale di psicopatologia del lavoro e prevenzione mobbing dell’Asl Napoli 1 in via Monte di Dio, con l’aiuto dei colleghi Giovanni Nolfe (psicodiagnostica) e Francesco Blasi (clinica). «La precarietà e flessibilità rendono debole il lavoratore e lo espongono di più a comportamenti vessatori da parte dei capi o di colleghi stabilmente inseriti nell’organigramma aziendale», dice presentando i dati dell’Osservatorio sul mobbing. Su 1.238 pazienti in cura nel 2008 e ben 8mila interventi di varia natura si evince che l’impiegato pubblico resta il soggetto più mobbizzato in assoluto (22%), il vero Fantozzi del disagio lavorativo, seguito dagli operai che lavorano nelle industrie (16%) e dagli impiegati nel settore sanitario (15%). «Chi lavora in un ambiente ostile soffre di disturbi dell’adattamento, dell’umore, si ammala di ansia e depressione e, spesso, matura volontà suicide», precisa Petrella invitando a non sottovalutare la correlazione tra organizzazione del lavoro e psicopatologie. Le donne subiscono comportamenti vessatori, anche di natura sessuale, nel primo periodo di lavoro, mentre per gli uomini il mobbing arriva tra i 40 e i 60 anni, quando si cerca di fare carriera. «In ogni caso i soggetti vessati sono grandi lavoratori, amano impegnarsi in ufficio e perciò soffrono l’esclusione o il ridimensionamento come ha testimoniato bene il film “Mi piace lavorare” diretto dalla Comencini». Per fornire un supporto alle vittime di mobbing, Petrella e Blasi hanno raccontato l’esperienza decennale del centro anti-mobbing nel libro “Il lavoro perverso”, scaricabile anche dal web.
Fonte:IL MATTINO
Pubblicazione del: 03-06-2009
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